Adagio, con la morte non si scherza

di Matteo Valentini

(foto di Elisa Cuneo)

(foto di Elisa Cuneo)

 

Nel linguaggio musicale il termine “adagio” indica un movimento piuttosto lento all’interno di una composizione classica, tra il largo e l’andante . E a otto adagio di diversi compositori- da Mahler a Albinoni- si ispira l’opera di Emanuelle Delle Piane, autrice svizzera alla sua prima comparsa in Italia: i suoi nove “drammetti” in scena alla Tosse manifestano dunque una fonte “alta”, da non prendere necessariamente in considerazione – secondo la nota al testo- nella messa in scena. Nessuno stupore dunque se, ne “Le presentazioni”, la protagonista vede illuminarsi la strada verso l’abbandono del marito-tiranno sotto le note di “Rock ‘n’ Roll suicide” di David Bowie; né se i due coniugi de “L’altra sponda” litigano facendosi sostenere ora dalla Geri Halliwell di “It’s raining men”, ora dal coro di “Katjuska” – la nostra “Fischia il vento”.

Se alle musiche ben scelte si aggiungono una buona direzione delle luci e una scenografia eterogenea fino al disordine, si ottiene uno spettacolo colorato e esuberante, a tratti anche spassoso, diretto dai registi Yuri D’Agostino, Elisabetta Granara e Elisa D’Andrea, con tre drammi ciascuno, capaci di amalgamare le personalità ancora un poco acerbe dei giovani (Mauro Lamantia e Sarah Pesca) con l’esperienza multiforme degli “anziani” (Aldo Ottobrino e, soprattutto, Sara Cianfriglia): non a caso il più riuscito dei nove è “Sogno americano”, l’unico non previsto nell’ originale ma composto dalla drammaturga apposta per i tre registi, dove Cianfriglia e Lamantia, rivolti verso la platea, raccontano a un invisibile proprietario di un’invisibile scrivania il loro rapporto con la madre/nonna “rediviva”.

Scrive Claudio Guillén: “Il tabù sul sesso, tipico del secolo XIX, è sostituito da quello sulla morte, il nemico più ostinato della felicità, proibito dalla società industriale”. “Adagio” con il suo tono sbarazzino intende liberarci da questo terrore, riconciliarci con il tema della mortalità e farci riflettere sulle nostre paure, irrazionalità e ipocrisie in questo senso: la spettacolarizzazione del suicidio, l’attaccamento morboso alla memoria di chi se n’è andato, la foga di organizzare il funerale per una persona ancora viva.

Tutti questi tentativi sono però velleitari. Il pubblico non riesce a immedesimarsi in personaggi che mutano di continuo e si perde nell’intrico di situazioni create dall’autrice per inseguire –inutilmente- i mille rivoli dell’esperienza umana di fronte alla morte. Le problematiche messe in campo sono appena accennate, sembrano troppe per la poca coesione dello spettacolo, ma sono nulla in confronto all’impegno del tema. In una tale confusione è molto complesso trovare una figura che aiuti a rovesciare davvero l’idea negativa della morte e che non la trasformi semplicemente in farsa. Gli spettatori, è vero, si divertono grazie a tutto il movimento che si crea sul palco, ma da questo non assorbono nulla: siamo di fronte a un buono spettacolo di intrattenimento, ma forse sul tema della morte era lecito aspettarsi qualcosa di più.

Adagio

di Emanuelle Delle Piane

traduzione Marco Cappelletti e Emanuelle Delle Piane

regia Yuri D’Agostino, Elisa D’Andrea, Elisabetta Granara

scene Paola Ratto

costumi Daniela De Blasio

luci e fonica Matteo Attolini

costruzioni Carlo Garrone

con Sara Cianfriglia, Mauro Lamantia, Aldo Ottobrino, Sarah Pesca

produzione Fondazione Luzzati – Teatro della Tosse

 

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